Il nuovo disco degli Uncle Bard & The Dirty Bastards è uscito lo scorso 9 Febbraio

Gli Uncle Bard & The Dirty Bastards sono una miscela esplosiva e trascinante di folk/rock e della più pura musica tradizionale irlandese. Con dieci anni esatti di attività e tour in tutta Europa, i “Bastards” si sono imposti come la prima e principale band di Irish folk-rock proveniente dall’Italia, grazie alle loro trascinanti esibizioni live, ma anche alla profonda conoscenza della musica tradizionale, così come della cultura e della società irlandese. E tornano in scena con Handmade!

Quando avete deciso di dedicarti alla musica e perché?
Siamo sei musicisti e ciascuno di noi avrebbe una risposta differente; sei persone, età diverse, esperienze diverse. Non c’è un perché, la musica è un po’ questo: si comincia per passione, si continua per passione e a un certo punto si è ormai troppo vecchi per smettere.

Quali sono stati i vostri primi passi nel mondo della musica?
La sala prove, i soldi risparmiati per comprare i primi strumenti decenti, le autoproduzioni, i pub, i piccoli locali, e così via giorno dopo giorno fino a toglierci oggi qualche soddisfazione. Ci siamo fatti le ossa partendo dal basso, e arriviamo al 2017 con venti o trent’anni di musica e gavetta alle spalle, ma la voglia di dire ancora qualcosa. Tutto ciò è confluito nei Dirty Bastards, che arrivano ormai ai primi dieci anni di attività.

Qual è il vostro genere musicale?
Siamo una band rock-folk, la cui percentuale dell’uno o dell’altro varia sensibilmente da ascoltatore ad ascoltatore. Troppo folk per chi ascolta rock, troppo rock per chi ascolta folk. E per non farci mancare niente, ci mettiamo anche la musica tradizionale irlandese, così facciamo incazzare anche i puristi.


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Quali artisti hanno influenzato la vostra scelta musicale?
Sicuramente i precursori dell’unione tra la musica folk/trad irlandese ed il rock, vale a dire The Pogues, Horslips, Moving Hearts prima e The Tossers o Flogging Molly dopo. Ma ognuno di noi ha le proprie influenze: per il banjo potrei dirti Enda Scahill o Angelina Carberry, per il nostro flautista Luca potrebbero essere Kevin Crawford e i Lunasa. Silvano ascolta i Motorhead e Rob gli Uriah Heep. Da questo mix senza senso escono i Dirty Bastards.

Avete mai pensato di mettere insieme una band per i live?
Ovviamente i live sono da sempre una parte fondamentale delle nostre attività…

Che cosa ne pensate dei Talent Show?
Quattro su sei di noi non hanno nemmeno la televisione. Sono mondi che non ci appartengono e che non conosciamo. Ma che la musica sia divenuta un prodotto da supermercato non è certo una novità dell’ultimo decennio.

Che cos’è la musica per voi?
La musica è comunicare con le persone. Sono parole di Ronnie Drew in realtà, ma che rispecchiano molto ciò che pensiamo. La musica è la voglia di dire qualcosa; non ci interessa salire sul palco per poterlo sbandierare su Facebook, non ci interessa acquistare ventimila like per poi non avere nessuno che ci ascolta o che ci segue. Chi ci ha apprezzato in questi dieci anni ha colto, spero, la genuinità della nostra musica. C’è chi lo fa meglio, c’è chi lo fa peggio, ma di sicuro siamo sempre stati noi stessi.

Descrivi il vostro singolo in 3 parole.
Spumeggiante, oltraggioso, ridanciano.

Quando prevedete di uscire con un nuovo singolo o un nuovo album?
Il disco è in uscita il 9 febbraio 2017, in CD ed in formato digitale (Spotify, iTunes, etc). Ne seguirà una versione speciale in vinile presumibilmente per l’estate.

Abbandonereste l’Italia per vivere un’esperienza musicale all’estero?
In realtà essendo per larga parte dell’anno in giro per l’Europa a suonare, l’abbiamo in parte già fatto. Non si tratta di fare sempre gli esterofili, ma ci sono situazioni all’estero che non sono neanche lontanamente paragonabili all’Italia. Si tratta di paesi che hanno soldi e voglia per investire nella cultura, nel mantenimento delle tradizioni musicali e nell’aggregazione tra giovani ma non solo. Senza scomodare l’Irlanda, dove la musica rappresenta una delle eccellenze culturali per cui è nota in tutto il mondo, basti vedere alla Francia o alla Germania. Qui invece è normale sentirsi dire “ah sei un musicista? e poi cosa fai di lavoro?”.

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